È passata una settimana dalla visita di Papa Francesco in Sicilia, si sono spente le telecamere e i riflettori, tacciono i social e i post; è tempo di tirare le somme, di sviluppare una riflessione più pacata e serena, lontana dai clamori e dal frastuono che inevitabilmente ogni visita di Francesco porta con se.

A distanza di giorni, il ricordo – pur se ancora vivo – cede gradualmente il posto all’ essenzialità delle sue parole, accorate e calde come il sole di Sicilia che riscaldava l’aria e il cielo di quel giorno ma pungenti e taglienti come ‘ spada a doppio taglio’.

Il Papa utilizza un linguaggio forte, duro, forse troppo per alcuni, mai abbastanza per altri; non tiene discorsi “ex cathedra”, parla senza parafrasi, additando quale esempio il Beato Pino Puglisi, testimone verace e fedele, martire per la verità, la giustizia e soprattutto per riscattare la sua terra benedetta e martoriata. Un messaggio – il suo – chiaro, senza fronzoli, diretto, che richiama molto quello di 25 anni fa, pronunciato nella valle dei Templi dal suo Santo predecessore Giovani Paolo II, durante la storica visita pastorale nell’ Isola.

Cosa rimane di quella giornata storica per la nostra terra, della testimonianza di quest’uomo “venuto dai confini del mondo”, del suo messaggio e del profondo significato di questo viaggio?

Abbiamo chiesto a Don Beniamino Sacco di aiutarci in questo percorso di sintesi del pensiero di Papa Francesco e di leggerne per noi il significato più profondo.

Don Beniamino, il Papa continua visitare le ‘periferie esistenziali’ del mondo. La sua venuta in Sicilia è segno dei tempi, di speranza, di attenzione?

Una vera e propria maratona quella del Papa in Sicilia sabato 15 settembre. Un tour de force che lo ha visto lasciare Roma per raggiungere Piazza Armerina, la città dei mosaici, sede diocesana di una provincia, quella di Enna, collocata in un territorio martoriato dalla disoccupazione e da una povertà piuttosto diffusa, una periferia esistenziale. Papa Bergoglio non disdegna di farsi presenza laddove l’uomo soffre e chiede speranza. Una sosta breve ma piena di significato, che ha lasciato nella gente la consapevolezza che a guidare la Chiesa c’è un padre che si fa carico dei bisogni dei figli. Il papa si è recato subito dopo a Palermo, centro del potere politico ma anche di altri poteri. E’ andato a celebrare una ricorrenza: l’anniversario dell’assassinio del Beato Don Pino Puglisi, parroco di Brancaccio, ucciso dalla mafia 25 anni fa.

Lei era a Palermo ad attendere Francesco. Qual è stata la sua prima impressione

All’invito a venire in Sicilia, il papa non si è fatto pregare e ha detto subito di si. Migliaia di persone ad attenderlo al Foro Italico Umberto I di Palermo: Cardinali, Vescovi, Sacerdoti, Diaconi, fanno da cornice al Vegliardo che procede  passi lenti, caracollando. L’aria di festa. Il sole riversa i suoi caldi raggi abbondanti sulla marea di persone che fanno fatica a stemperare il calore. La voce di Francesco è flebile, gli occhi sempre vivi, il tono appartiene agli uomini del deserto, bruciati e pieni di vitalità spirituale.

Il Papa ha utilizzato parole forti, taglienti. Ci descriva il ‘clima’ e l’accoglienza al suo discorso

Il messaggio di Francesco fa eco alla Parola di Dio che in quella domenica parlava di primi ed ultimi, di invito a nozze. Nella Chiesa non ci sono poteri, la Chiesa sulle orme di Cristo è madre che serve, che si fa povera con i poveri, che sceglie gli ultimi posti per dare i primi posti agli ultimi. Qualche applauso! I mafiosi non sono credenti, ha tuonato il pontefice. Qualche altro applauso! Mi sono domandato: dov’è il popolo siciliano con il suo calore umano?  Mi guardo allo specchio del mio intimo e noto che anche il mio volto sa di apatia contenuta. Eppure i sorrisi non mancano. Forse il tutto dipende dal perché ci siamo mossi dalle nostri sede. Per vedere il Papa! Si, per vedere ma non per ascoltare! l’ascolto richiede altre motivazioni che non sono stilistiche ma di contenuti. Papa Bergoglio conosce la profondità dei contenuti.

Il Papa ha lanciato ‘segnali’ importanti come il pranzo con Biagio Conte e i suoi poveri ed ha incontrato il clero e i religiosi. Cosa rimane di quel discorso e della profondità del suo messaggio?

A pranzo il papa si porta tra i poveri, nei locali dove il fratello laico Biagio Conte spende la sua vita tra gli ultimi. Un pranzo frugale ma consumato con gioia. I Vescovi, i sacerdoti, ognuno nel proprio ruolo e in locali distinti, invece, pranzano nel seminario di Palermo. Nel pomeriggio alle 15,00 l’ incontro in Cattedrale con sacerdoti, religiosi, seminaristi, persone diversamente consacrate. L’incontro è preceduto dal discorso dell’ Arcivescovo di Palermo, molto dottrinale ed articolato, in tutto ne farà tre tutti corposi. Parla Francesco e ce né per tutti, senza distinzioni, per noi preti, per i religiosi e le religiose, per i seminaristi. Il suo discorso si fonda su tre punti: Celebrare – Ascoltare – Testimoniare. Il prete non è un funzionario ma un servitore che celebra l’amore, il Pane, la misericordia. Il religioso deve avere chiaro e vivere il senso della comunione fraterna e non farsi trascinare dall’invidia e dalla gelosia. Il seminarista deve prepararsi ad essere servo e non ambire ad una carriera, perché la Chiesa non prevede carriere se non quella del servitore. Il discorso di Francesco è duro, schietto, paterno! Senza giravolte o mezze verità, senza allusioni verbali. Tutto chiaro, tutto chiaro, tutto semplice. Gli applausi si fanno più rari! Le corde del cuore non suonano più! Volti distratti, menti assenti, sguardi incerti, sorrisi di circostanza. Sul volto di qualcuno si legge:” è il messaggio papale ‘ex cathedra?’

Se potesse scrivere al Papa, cosa gli direbbe dopo la sua visita in Sicilia

Caro Papa Francesco, come è difficile uscire dallo stagno, spogliarsi della comodità, vestire il saio della semplicità. Noi siciliano abbiamo grandi aspirazioni ma poi ci perdiamo nelle piccole cose. Abbiamo paura di volare! Sogniamo la libertà ma affidiamo la nostra vita ai suonatori di illusioni. Ci lamentiamo che le cose vanno male ma non mettiamo un dito all’ acqua calda. Il Beato Puglisi se ne sta nella teca d’argento a rappresentare un sognatore incallito, una povera vittima lasciata sola a sognare, uno che ci mette la faccia, che non ha paura di sporcarsi le mani e imbrattarsi i piedi di umanità. Noi siamo diversi da Lui. Noi camminiamo con i piedi per terra! Abbiamo bisogno soltanto di vedere e non di ascoltare!  Per quelle volte che ho avuto l’occasione incontrare Don Pino Puglisi, tutto era eccetto che fumo celebrativo accecante. Grazie Francesco, tu ci hai dato una testimonianza di quello che dovremmo essere, ma che ancora non siamo. Che Dio ci aiuti!

 

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